03 Set Il sabotaggio interiore
Timothy Gallwey, uno dei padri fondatori del coaching, nel suo imprescindibile libro “The Inner Game of Tennis” mette a fuoco un concetto fondamentale: in una partita di tennis, tu non giochi contro la persona che sta dall’altra parte della rete, bensì giochi con quella persona e contro il tuo dialogo interiore.
Il “dialogo interiore”, più noto come “giudice interiore”, è quella vocina che si fa sentire nella nostra mente più o meno spesso e che quando ci apprestiamo a una decisione o a un’azione ha la sgradita tendenza a instillare dubbi sulle nostre capacità, evidenziare ogni pericolo e ogni possibilità di fallimento, ricordare le nostre debolezze, ammonirci su ciò che è giusto o sbagliato.
Come dicevano gli antichi: gutta cavat lapidem, la goccia scava la pietra. A forza di battere sempre sullo stesso punto, perfino l’acqua può fare un buco in un sasso. Figuriamoci allora che cosa può fare un pensiero ripetuto nella nostra mente, sia esso corrispondente alla realtà oppure no. Dunque, il risultato di questa voce interiore è che spesso rinunciamo a ciò che vorremmo perseguire, oppure lo facciamo in modo maldestro e inefficace, perché convinti che “non siamo capaci” o che “non è giusto”.
È un meccanismo che spesso agisce senza che ne siamo coscienti. Ci concentriamo sull’esterno – i nostri interlocutori, le circostanze, il destino avverso – e non ci accorgiamo che il primo sabotatore delle nostre azioni siamo noi stessi. O meglio, è quello che succede dentro di noi.
Come evitare questa trappola? Emulando una delle competenze di base del coaching: la presenza verso se stessi.
Come? Innanzitutto, si tratta di mettere a fuoco i fatti. È allora utile farsi qualche domanda proprio su questo punto: qual è stata l’ultima volta che mi sono detto “tanto non ce la faccio”? Quante volte mi è capitato di dirmelo? Soprattutto, in quali circostanze?
La risposta a quest’ultima domanda potrebbe rivelare qualcosa di interessante. Facilmente scopriremo infatti che ci sono somiglianze, tra le suddette circostanze. Scopriremo che la vocina interiore dice più o meno sempre le stesse cose, ritorna sui medesimi avvertimenti, su giudizi simili tra di loro.
In situazioni analoghe abbiamo reazioni analoghe e questo rinforza la nostra convinzione: è proprio vero, non sono capace di fare questo, non è giusto che io mi comporti in un certo modo o dica determinate cose.
Ma proprio qui sta il bello. Questo ritornare di alcuni elementi (circostanze, pensieri, emozioni) è un’informazione preziosa per conoscerci meglio. Allenarci a saperla leggere può letteralmente cambiare la nostra vita. Quando cominciamo a individuare che ci sono temi e situazioni ricorrenti passiamo da una generica sensazione di disagio o impotenza ad una situazione in cui possiamo fare leva su punti di riflessione ben precisi.
Quali sono le mie qualità, le mie doti, le mie caratteristiche, i miei valori che in quelle determinate circostanze verrebbero chiamati a entrare in gioco e invece si ritraggono?
Da dove arrivano i dubbi, le critiche, gli avvertimenti che sento ripetere da quella voce interiore? Corrispondono a realtà, o sono pregiudizi ereditati dalla mia educazione, dall’ambiente circostante, dalla cultura dominante? Oppure sono il risultato di qualche cosa che mi è successo di negativo in passato e adesso, per timore di ricaderci, finisco per evitare di agire al fine di evitare un guaio che in realtà non esiste più?
Prendendo sempre più coscienza di tutto ciò, possiamo smettere di essere vittima di questi meccanismi e di sentirci vittima delle circostanze o della cattiveria altrui. E possiamo cominciare a essere protagonisti attivi e consapevoli delle scelte che plasmano la nostra vita.
Non è cosa banale né facile farsi domande di questo tipo, tantomeno darsi risposte lucide e consapevoli. Per questo l’aiuto di un coach può essere decisivo per riuscire a conoscere e avviare questo processo di sviluppo della presenza verso se stessi. Tutti noi abbiamo i nostri punti ciechi, e nessuno può fare a meno del tutto di un punto di vista esterno. Ma possiamo ampliare di molto la nostra presenza verso noi stessi, e dunque lo spazio di manovra nei confronti del sabotatore interiore.
C’è però ancora un fattore che va assolutamente citato perché è fondamentale. Possiamo paragonarlo al lievito, quell’elemento senza il quale i migliori ingredienti e il miglior impasto non danno vita a nessuna torta. È questo fattore è la volontà della persona di lavorare su se stessa.
Sento parlare di questo meno di quanto penso che sarebbe necessario, perché la volontarietà è uno dei pilastri irrinunciabili del coaching: nessuno può entrare dentro un’altra persona, e se parliamo del sabotatore interiore, soltanto la persona interessata può raggiungerlo, conoscerlo e interagire con efficacia.
Quindi alla domanda come liberarsi del sabotatore interno la risposta è: coltivando e allenando una maggiore presenza a se stessi. Come si fa ad allenare questa presenza? Iniziando con un atto di volontà personale. Molto semplice, anche se quasi mai facile, perché ci possono essere diverse motivazioni che ostacolano questo primo, indispensabile atto di volontà. Anche in questo caso, l’aiuto esterno ed esperto di un coach può essere ciò che fa la differenza.
Una volta trovata la strada della presenza verso se stessi, non sarà tutto risolto magicamente, ma diventeranno possibili molte cose che inizialmente ci sembravano precluse. A partire dalla possibilità di crescere ed evolvere, nella vita personale e in quella lavorativa.
A cura di:
Mattia Rossi