Il coach come strumento

09/01/2023 • Articoli


La posizione dell’artista è umile. È essenzialmente un canale. – Piet Mondrian

Diversi anni fa nel tentativo di definire “cosa è” e “cosa non è” coaching, ho incontrato l’espressione «conversazione generativa», generativa di significati, consapevolezze, possibilità di pensiero e azione, soluzioni… Un’espressione, che letta in qualche testo o ascoltata in qualche evento, mi risuonava molto, evocando dentro di me suggestioni e sensazioni diverse e che mi ha portato a interrogarmi e approfondire tecniche, strumenti, modelli di conversazione con il desiderio di “essere sempre più efficace”.   

Nel tempo ho scoperto che quel potenziale “generativo” è soprattutto il meraviglioso dono di una “relazione” fondata su sincera fiducia e presenza: una relazione in cui come coach siamo genuinamente e generosamente curiosi, abbiamo il coraggio di sorprenderci, aprendoci a ciò che non sappiamo e a ciò che potremmo temere, abbiamo rispetto incondizionato per l’unicità dell’altra persona, siamo capaci di accettare e condividere anche la nostra vulnerabilità. E tale scoperta ha significato per me continuare ad approfondire e imparare di più, in questo caso su di me, su chi sono io nella relazione, su cosa porto, su cosa mi succede nel momento e cosa può interferire sulla mia capacità di essere semplicemente “presente”.

Viaggiamo tutti nella vita con un bagaglio prezioso di storie, idee, significati, aspettative su di noi, gli altri, la vita stessa. Questo bagaglio aiuta a orientarci, a scegliere, ci fa sentire attrezzati, forti, coperti e sicuri.

Un tesoro straordinario, che può trasformarsi inavvertitamente in un limite ingombrante: quando per esempio diventiamo tutt’uno con le idee e le storie che ci raccontiamo e assumiamo di sapere, mossi anche dal desiderio di aiutare; quando continuiamo ciecamente a ripetere vecchi copioni, quando viaggiamo ignari di tutto ciò che c’è nel bagaglio.

Come coach impariamo ad ascoltare il coachee, a riconoscere le storie, i pattern, il bagaglio con cui viaggia. E rispetto al nostro bagaglio?

La consapevolezza del nostro personale bagaglio è una competenza ed una responsabilità per un coach, più ne siamo consapevoli più diventiamo capaci di relazionarci in maniera autentica, di ascoltare e rispondere nel qui ed ora, di farci sorprendere invece che voler sorprendere, di essere canale e riconoscere ciò che “emerge” nella relazione.

Varie sono le pratiche per potenziare la capacità di mantenere la presenza (meditazione, respirazione, yoga, mentoring, supervisione etc.). Imprescindibile è la pratica riflessiva che sostiene la consapevolezza di noi stessi.

Coltivare la nostra capacità di mantenere “la presenza” apre la porta alla creatività e libera il potenziale generativo della relazione.

 

Poniti le domande seguenti, e poi ripetile sostituendo alla parola “altri” la parola “coachee”.

Dietro questi perché ci sono spesso delle idee che, sovente in modo inconsapevole, ci condizionano portandoci ad assumere “ruoli”, per così dire “assegnati” nella vita e nelle relazioni:

  • Cosa vorrei comunicare agli altri di me? Perché?
  • Cosa vorrei nascondere agli altri di me? Perché?
  • Cosa vorrei che gli altri non pensino di me? Perché?

Ogni volta che agiamo un ruolo assegnato, altro che presenti, siamo altrove!

Buona scoperta

Marilena Vecchione, MCC ICF

Il coach come strumento